venerdì 13 febbraio 2015

Giocare con i paletti

Quando si scrive per entità di carattere "commerciale" come il fumetto da edicola o i cartoni animati si hanno - come è noto - dei "paletti" da rispettare. Ci sono una serie di limiti entro cui non puoi andare. Sono determinati generalmente da diversi fattori: uno è che certi prodotti sono rivolti a persone di tutte le età, e quindi certi argomenti non sono adatti ai più piccoli. Un altro è che trattando prodotti "generalisti", si cerca di "vendere" alla platea più vasta possibile, evitando possibilmente gli aspetti che potrebbero dividere i fruitori piuttosto che unirli.
Ecco quindi che se lavori per certe realtà non ti puoi permettere di dire tutto quello che vuoi. Ma è una questione più di forma che di sostanza. Non si può dire tutto quello che si vuole, viceversa si può raccontare tutto quello che si vuole, basta saper trovare il modo giusto per raccontarlo.

Si può raccontare qualsiasi cosa, anche l'omicidio o la dittatura, se li si trasfigura tramite metafore che non urtino la sensibilità dei più piccoli ma che mantengano intatta la "visione del mondo" che si ha intenzione di comunicare.

Insomma, invece di vedere i "paletti" come limiti, bisogna giocarci, con quei paletti. Una cosa che dice spesso Tito Faraci è che lui quei paletti non li vede come limiti ma come sostegni a cui appoggiarsi.

A questo proposito, mi sembra davvero esplicativa una strip muta da uno dei miei fumetti preferiti di sempre, Calvin & Hobbes di Bill Watterson:

Qui vediamo Calvin con un ombrello. Una cosa ingombrante, noiosa, "da adulti". Io da bambino li odiavo gli ombrelli. Li perdevo in continuazione, per la gioia di mia madre. Per me erano buoni solo per due cose: giocarci fingendo che fossero dei fucili o che fossero chitarre elettriche.

Qui il risultato è simile e anzi migliore: appena accenna a piovere Calvin invece di usarlo per ripararsi lo trasforma in una mini-piscina per sguazzarci dentro.

E' proprio questo quello che intendo con "giocare con i paletti". Se paragoniamo Calvin all'autore, la pioggia è la fantasia, ogni goccia è un'idea, un "input" che il "creativo" percepisce. L'ombrello è il "paletto", il limite imposto dal carattere generalista del prodotto cui sta lavorando. E invece di usare quei limiti per ripararsi da tutte quelle idee e farle scivolare via, l'autore apre l'ombrello al contrario (apre la mente?) e fa in modo che rimangano raccolte solo quelle idee che possono essere contenute in quell'ombrello. Un ombrello di possibilità.

E ci gioca. E ci si diverte un sacco.

Così come io mi diverto a giocare con i paletti obbligati, cercando di rispettarli senza subirli.


2 commenti:

Matteo Caronna ha detto...

Che bel post!

Giorgio Salati ha detto...

Grazie Matx96! Torna a trovarmi!

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