mercoledì 17 luglio 2013

Descrizioni fraintese

E' parecchio che non scrivo riflessioni sul mio lavoro. Il momento in cui dovessi smettere del tutto sarà il caso forse di preoccuparsi, perché significherebbe che penserò di sapere ormai tutto quello che c'è da sapere, il che è chiaramente impossibile per chiunque.

Riflettevo appunto sul fatto che in sceneggiatura tendo spesso - non so se lo facciano anche i miei colleghi - a descrivere il meglio possibile un ambiente all'inizio della scena in cui tale ambiente compare per la prima volta. Tipo descrivere anche quello che c'è nei cassetti e che successivamente verrà tirato fuori da un personaggio.

Naturalmente non pretendo che nella vignetta in questione compaia TUTTO quello che sto descrivendo, è solo un modo per comunicare tutte le informazioni necessarie al disegnatore per disegnare quell'ambiente nel corso della storia senza dover aggiungere particolari nel momento in cui servono, dopo che magari il disegnatore ha creato l'ambiente in maniera incompatibile con la scena che deve venire.

Capita però che il disegnatore fraintenda, e spaventato dalla minuziosa descrizione maledica lo sceneggiatore: come faccio a disegnare tutte e quattro le pareti di una stanza in un'unica vignetta?!

Ecco perché sarà il caso di spiegare nella maniera più chiara possibile che ciò che si sta descrivendo non è da visualizzare neccessariamente in QUELLA vignetta, ma che è solo la "mappa" da tenere presente per il resto della storia.


lunedì 15 luglio 2013

Fermo - recensione



Sualzo ha un grosso problema.

Il suo problema è che di lui non ce n'è mai abbastanza. Non ce n'è mai abbastanza dei suoi fumetti, mai abbastanza della sua musica, mai abbastanza della sua persona.

Perché è questo che hai l'impressione di ricevere, quando leggi un suo fumetto o ascolti la sua musica.

Non stai semplicemente leggendo "un" fumetto di Sualzo. Stai leggendo Sualzo. Lui ti sta offrendo se stesso, con un po' di timore e con la speranza che tu tratti bene i suoi ricordi e il suo mondo interiore.

"Fermo" non è solo un bel fumetto. Non è solo una bella storia e dei bei - bellissimi - disegni. E' bello perché Sualzo è bello. Bello dentro, chiaramente. Fuori non saprei, non è esattamente il mio tipo, anche se abbiamo perfino condiviso un letto matrimoniale.

La stima che ho di Antonio persona, del Vincenti sassofonista e del Sualzo fumettista sono difficili da scindere. Proprio perché in tutto quello che fa tu riesci a vedere lui con limpidezza. Con un misto di timidezza e di sfrontatezza ti mostra le sue debolezze con garbo - come garbato è lui - senza farne pornografia. Questa è la sua abilità, che lo rende un autore per me eccezionale.

Perché la vicenda narrata in "Fermo" è di quelle normali, normalissime per chiunque, ma eccezionali per chi le sta vivendo. Piccole perle della memoria che ci restano dentro, e che risalgono la corrente quando qualcuno come Sualzo tira fuori la sua e ce ne mostra la bellezza, noi che stolti avevamo archiviato il ricordo alla voce "roba passata": negli anni '90 Sebastiano, studente fuori corso affetto da attacchi di panico, viene mandato a fare il servizio civile (all'epoca la leva era obbligatoria) in un paesino collinare, dove si occuperà di assistere persone con problemi psichiatrici. Questo gli dà modo di riflettere su se stesso e sul suo rapporto con Giulia, la fidanzata storica. E sul perché tende a fuggire sempre.

Il protagonista resta immobile proprio perché fugge sempre, e solo fermarsi lo aiuterà ad andare avanti davvero.

Una storia di vita normale, eppure eccezionale. Una storia in cui il come diventa un elemento importante. Come viene raccontata la storia, e come viene disegnata. Quel misto di senso poetico e di spirito pratico che solo un sassofonista può avere nelle dita.

La vicenda ha riportato a galla anche il mio servizio civile. Prima o poi vi racconterò quel breve periodo da obiettore nel 1999, a 20 anni, insieme ai malati di AIDS, prima di venire congedato per questioni di salute. Un periodo molto breve ma che mi cambiò. Ringrazio Antonio anche solo per avermi risvegliato questi ricordi.

Quando ho finito il volume, mi sono veramente dispiaciuto. Non ne avevo abbastanza. Era come veder andare via di colpo un amico da casa propria, qualcuno cui si vuol bene e che si vede una volta l'anno. E' stato a casa tua un'oretta, ha bevuto un caffè e poi è scappato via. E ti chiedi: ma non poteva restare almeno per cena? Poi riguardi il volume e vedi che sono comunque 125 pagine. Roba che lui per stare da te a bere un caffè ha fatto ore di auto, e allora apprezzi quel caffè in compagnia, sperando che abbia presto voglia di rifarsi la strada fino a casa tua.

Fermo, di Sualzo
Bao Publishing
In libreria, fumetteria, e online. 

mercoledì 10 luglio 2013

Facebook è letteratura?

Potrebbe sembrare una provocazione, e in parte lo è, ma Facebook può fare letteratura? O quantomeno, può essere un contenitore di idee letterarie, narrative o creative?

Io credo di sì.

Sono tendenzialmente ironico sui social network e sulle migliaia di cavolate che vi si leggono quotidianamente.

Però Facebook e Twitter possono essere non solo un utile strumento di informazione e di confronto (se si sa filtrare tutte le cavolate e individuare ciò che davvero merita di essere seguito), ma anche un vero e proprio medium attraverso cui veicolare micro-narrazioni e una propria visione del mondo.

Nell'immenso calderone di questi social network, recentemente ho scoperto diverse persone che scrivono quotidianamente interventi talmente interessanti, stimolanti, a volte disturbanti, spesso idioti (quelli che preferisco) da meritare di essere seguiti. E credo che chiunque faccia il mio mestiere, farebbe bene a esplorare questo mare di idee grezze e non perdere il treno dello "zeitgeist". Non per farsi influenzare dall'altrui modo di scrivere o pensare, ma quantomeno per restare aggiornati, sapere con che cosa ha a che fare quotidianamente la gente, anche dal punto di vista della lettura.

I loro post sono nella maggior parte dei casi umoristici, ironici, ma di un umorismo che non si trova in giro, né in tv né negli altri mezzi di comunicazione. Nemmeno nell'internet più "tradizionale", perché se è vero che alcuni di loro tengono dei blog, la loro modalità di comunicazione funziona molto meglio su Facebook. Molto spesso giocano con l'anticlimax e l'autoironia. Un umorismo che a volte supera quello tradizionale, e anche quello di Spinoza, che seppure fino a poco tempo fa sia stato - a mio giudizio - forse il miglior umorismo in circolazione, ormai comincia a mostrarsi fiacco. Quello di certi utenti di Twitter/Facebook è un umorismo che forse posso accostare - con le dovute proporzioni - ai Monty Python. O per certi versi ai primi Elio e le Storie Tese, al modo di destrutturare i luoghi comuni, svuotarli e rimescolarli.

Non sempre si tratta di "autori" umoristici, a volte c'è anche chi propone riflessioni serie. Per alcuni si tratta di merda, ma io dico che è concime per la testa. Molti di loro non ho nemmeno idea di che cosa facciano nella vita. Per quanto ne so potrebbero essere panettieri o muratori. Non mi interessa che siano degli scrittori col patentino. Eppure potrebbero essere definiti intellettuali, anzi, anti-intellettuali. Gente che se fossero stati altri tempi sarebbe potuta comparire su Frigidaire o simili.

In realtà, molti di questi oggi vengono definiti "troll".

Vado a segnalare alcune delle persone che vale la pena di seguire su Facebook. Provate a chiedere loro l'amicizia, e se ve la danno, buon divertimento. Non metterò i nomi di tutti quelli che vale la pena di seguire, mi servirebbe troppo tempo e spazio.

Francesco Lanza è uno sviluppatore web, ma ha una pagina e un fenomenale blog chiamati "Volare è potare". I suoi post sul blog sono molto interessanti e spesso divertenti, ma su Facebook si può avere una "panoramica" del suo pensiero. E' uno dei più lucidi e meno folli, ma anche uno di quelli più "autorevoli". Le sue analisi di certi fenomeni di comunicazione nella rete sono piuttosto efficaci.

Cane Quantico. Non ho idea di chi sia. Ma i suoi post solitamente autobiografici sono sempre divertenti e surreali. Piccoli ridicoli tranche-de-vie immersi nella Ciociaria. Il re dell'anticlimax.

Antonio Chiloiro. Chi è? Che cosa fa nella vita? Boh. Un altro con un cervello che va a mille, assurdità dopo assurdità.

Gianni Miraglia. Dopo una vita passata a lavorare per la pubblicità, ha fatto della (propria) disoccupazione un tema dominante, veicolato tramite la sua scrittura anarchica (scrive tra gli altri per Rolling Stone). Matto come un cavallo, ma mai disonesto. Ci ho pure litigato, su certe cose la penso in maniera diametralmente opposta (soprattutto sulla musica, dannato punk!). Ma alle volte ha delle intuizioni veramente notevoli nell'analizzare la nostra realtà. Forse più che Miraglia dovrebbe chiamarsi MiTraglia quando parte con i suoi assurdi giochi di parole.

Natalino Balasso è diventato famoso a Zelig come comico, ma le sue capacità vanno ben oltre quelle del mero cabarettista. Natalino è un vero intellettuale. Un attore di teatro molto colto, e un vero osservatore della natura umana. Sono imperdibili i suoi post targati "Il scritore", scritti in un misto tra italiano e dialetto veneto. Sono fenomenali. L'impressione è che Facebook e YouTube abbiano liberato la vera anima di Natalino, fuori dalle gabbie televisive.

Moreno Burattini, sceneggiatore e curatore di Zagor, è molto attivo su Twitter. Il suo modo di comunicare è più classico, ma ogni tanto tira fuori delle vere perle, sia dal punto di vista umoristico, sia da quello di "intuizioni sulla vita".

Alessandro Gori ha sia una pagina Facebook che un blog chiamato "Lo sgargabonzi". E' il troll per eccellenza. E' molto difficile capire quando è serio e quando scherza, anche perché è difficile definire "scherzo" i suoi post, che sono di un cinismo spesso disturbante. Uno che ha imparato bene la lezione di Andy Kaufman. Quello che fa è rimescolare tutti i luoghi comuni della comunicazione interpersonale, specialmente quelli utilizzati sui social network, per mettere a nudo la barbarie spennellata di brillantini che permea la nostra non-cultura. I suoi post sono uno bisturi che fa male, ma che va a scavare dentro di noi e porta alla luce il tumore della pigrizia intellettuale, dell'automatismo comunicativo, perché una comunicazione, se ripetuta, diventa pensiero, e quindi pregiudizio. Mi raccontò che una volta fu cancellato da diverse persone su Facebook per aver scritto semplicemente "Napoletani". Come se nella parola "napoletani" dovesse esserci automaticamente un insulto. Omnia munda mundis. Questo mette a nudo i nostri meccanismi automatici di pensiero, anche quando ci riteniamo "virtuosi". A volte i suoi post sono TROPPO cinici. Usa anche le tragedie per scardinare la retorica e la compassione da poltrona. Credo che questo sia andare troppo in là. La chiamo "pornografia della comunicazione". Però molti altri post sono veramente ficcanti nel loro farti sentire un perfetto imbecille. Oltretutto una volta mi disse di aver molto apprezzato LAW, quindi una chance in più gliela do sempre.

George Takei è conosciuto soprattutto per aver interpretato il Signor Sulu nello Star Trek degli anni '70. Un ruolo televisivo minore. Negli ultimi anni però ha visto una nuova giovinezza artistica per diversi motivi. Innanzitutto partecipando al musical "Allegiance", che racconta i campi di concentramento su suolo americano in cui furono internati molti giapponesi dopo Pearl Harbor. E poi, George ha cominciato a spopolare con la sua pagina Facebook, soprattutto da quando ha fatto coming out sul suo orientamento gay. Le sue battute e commenti (spesso sul tema omofobia) dimostrano un'arguzia non indifferente, che lo ha reso uno dei personaggi più popolari su Facebook tra gli americani (la sua pagina ha più di 4 milioni di "mi piace").

E poi, signore e signori, il più grande di tutti. Il grande "poeta" Carlo Maria Rogito. Nome falso, suppongo. E' ormai un mito di Facebook. I suoi deliri sembrano usciti da una mente per metà malata e per metà ritardata, ma lasciano intravedere un universo interiore ricchissimo e variopinto. L'universo di quella mezza Italia provinciale e sommersa di cui nessuno si occupa, perché non è cool. Carlo Maria scrive tutto in maiuscolo e completamente sgrammaticato, in uno stile fortemente "terrunciello". Mentre leggi i suoi post ti sembra di sentirlo parlare. Sembra il cugino ingenuo di Abatantuono (il primo, quello di Ecceziunale Veramente). Non c'è modo di spiegare quanto divertenti e geniali siano le sue "poesie", bisogna leggerle e basta. Per qualche motivo che mi sfugge totalmente, c'è qualcuno che continua a segnalare i suoi account e le sue pagine a Facebook, perciò ogni tanto è costretto ad aprire una nuova pagina. Se dovessero chiudere quella che vi ho linkato, cercatelo: Carlo Maria Rogito. Il mio idolo.

Chiudo con un surreale commento di Carlo Maria all'ultimo libro di Saviano:

Zero Zero Zero prefisso per chi chiama da fuori camorra.


martedì 9 luglio 2013

Nemo Brave in patria

Quando postai la recensione di "Brave" della Pixar, affermai che perfino nell'intrattenimento per famiglie la percezione della sessualità stava cambiando.

Ci fu chi trovò la mia analisi interessante, chi non ci vide le stesse cose che ci vidi io, e ci fu anche chi trovò la mia idea ridicola.

Naturalmente alcuni di quelli che ne risero erano esperti conoscitori dei meccanismi narrativi. Scherzo.

Dopodiché, a meno di un anno di distanza, ecco che:

- Viene annunciato che in un episodio della serie televisiva della Disney "Buona fortuna Charlie" comparirà una coppia di "genitrici": una coppia lesbica con figlia. Cosa impensabile fino a pochissimo tempo fa in un prodotto dichiaratamente per ragazzi. QUI la notizia.

- I dipendenti della Pixar si impegnano attivamente in un video contro l'omofobia. QUI notizia e video.


Ora, le domande sono due:
1. Forse essere Brave ("Coraggioso") è l'obiettivo che si è posta la Disney nell'essere la prima grande compagnia a produrre intrattenimento per famiglie in cui l'omosessualità non è più un tabù?
2. Forse chi è più esperto di action figure farebbe meglio a occuparsi di action figure?


Politica editoriale

Voglio farvi una domanda, e non è una domanda retorica.

Secondo voi, se un autore dichiara pubblicamente le proprie opinioni politiche, danneggia la casa editrice o le case editrici per cui lavora? O influenza la percezione dei personaggi e delle testate per cui scrive?

Personalmente credo che le opinioni di un autore siano altro da quella che è la sua opera, soprattutto se l'autore lavora per un editore "commerciale".

E' chiaro che la visione politica di un autore non viene espressa - non palesemente almeno - attraverso le storie di Topolino o di Dylan Dog, di Diabolik o dell'Uomo Ragno, su cui lavora.

Altrimenti, probabilmente i miei autori Disney preferiti non sarebbero Barks e Scarpa, che pare fossero conservatori. Ancora di meno poi apprezzerei Frank Miller.

E' chiaro che dalla lettura di una mia storia usciranno anche, consciamente o inconsciamente, i valori in cui credo. Ma so di avere valori in comune con persone che hanno opinioni politiche diametralmente opposte alle mie.

Personalmente ho sempre pensato di avere il diritto di esprimere in piena libertà le mie opinioni, e che questo non danneggi le case editrici o di produzione per cui lavoro, visto che io lavoro per loro, ma non li rappresento. Magari il presidente della Walt Disney Company avrà il cruccio di ponderare molto ciò che afferma, visto che decide lui la politica editoriale. Ma io sono solo un autore che lavora per un committente. Naturalmente Paperino e Topolino non esprimeranno mai le mie opinioni politiche più legate alla nostra realtà locale, quanto piuttosto valori universali come l'amicizia, l'altruismo, eccetera. Se fossi un autore che vuol far fare dichiarazioni politiche a Topolino, di certo la Disney non mi commissionerebbe le storie, e chiaramente farebbe bene. E io sarei stupido, se pensassi di fare una cosa del genere.

Ma, al di fuori del mio lavoro per le case editrici che mi affidano personaggi - che io tratto con cautela - ho sempre pensato che le mie opinioni politiche siano libere di poter essere espresse. E nessun committente mi ha mai chiesto di censurarmi, al di fuori del lavoro che faccio per lui.

Però ultimamente è capitato che Alfredo Castelli, creatore del mitico Martin Mystère, abbia espresso la sua opinione sul Corriere della Sera, in merito al Movimento 5 Stelle. QUI trovate l'articolo.

L'intervento ha incontrato il favore di molti, soprattutto tanti autori di fumetti. Quasi che ci fosse stata una liberazione. Come se nessuno se la sentisse di dichiarare apertamente le proprie opinioni politiche, finché finalmente è arrivato uno dei "guru" del fumetto italiano e ha fatto il gesto per primo.

Non sono mancate però le polemiche. Anche perché il quotidiano ha subito sensazionalizzato l'articolo, intitolandolo "Martin Mystère contro Grillo". Naturalmente l'opinione di Castelli è qualcosa di diverso da quello che è un personaggio come Martin Mystère. Né tantomeno l'opinione espressa poteva essere attribuita alla Bonelli.

Case editrici come Bonelli, Disney, Marvel, ecc., vogliono mantenere un profilo neutro dal punto di vista politico, e fanno bene. Non si può pensare di rivolgersi a un pubblico generalista schierandosi politicamente. Nelle loro storie vengono veicolati molti "valori", una determinata visione del mondo è comunque espressa, ma si tratta di qualcosa che travalica la mera partigianeria.

Ecco però che c'è chi ha criticato Castelli, perché non avrebbe dovuto dichiarare apertamente la sua opinione politica (tra l'altro non dicendo "voto per questi", ma dicendo "non mi piace il leader di quel movimento politico"), perché questo danneggerebbe la Bonelli.

Sinceramente mi sembra poco verosimile. Per quanto Castelli sia un "veterano", in Bonelli lavorano centinaia di autori, ognuno con la propria opinione, e pensare che ognuna di queste debba influenzare l'immagine della casa editrice, non mi pare sensato.

Per non parlare di autori come Recchioni o Manfredi, che raramente si censurano quando si tratta di esprimere un'opinione. Eppure anche loro sono autori importanti per la Bonelli, e non credo che nessuno penserà di identificare le loro dichiarazioni con i personaggi di cui si occupano.

Ma le critiche in tal senso mi hanno fatto riflettere, perciò rimando a voi la domanda: dichiarazioni politiche degli autori possono danneggiare le case editrici per cui lavorano?

E il fatto allora che Letta sia fan di Dylan Dog, avrà qualche conseguenza sulla testata?


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