A volte i giovani sceneggiatori snobbano certe formule strutturali
come se si trattasse di sterili regole imposte da qualche parruccone
hollywoodiano.
Sappiamo benissimo che la sceneggiatura, l'arte in generale, non è una scienza. Si può anche evitare di seguire certe "regole".
Però
certe strutture non nascono dall'imposizione di qualcuno che, ad un
certo punto, ha deciso "d'ora in poi le storie vanno scritte così".
Semplicemente, tanti narratori prima di noi hanno sperimentato con la
scrittura e hanno osservato l'effetto che certe strutture narrative
hanno sul lettore/spettatore. Che cosa è più efficace e che cosa non lo
è. Che cosa coinvlge, che cosa tiene il fruitore più "aggrappato" alla
vicenda, che cosa non lo fa uscire dal "patto di sospensione
dell'incredulità".
Ad esempio, se io imposto tutta la
storia con una voce narrante, tutto visto dal punto di vista del
protagonista, se ad un certo punto piazzo una scena in cui assistiamo a
qualcosa che il protagonista non può vedere e che magari ci spiega il
piano dei cattivi, stiamo buttando fuori il lettore/spettatore
dall'atmosfera interna al protagonista che con tanta fatica abbiamo
creato, perché siamo passati di colpo a un narratore onnisciente. Fa
comodo a noi che scriviamo, per spiegare velocemente qual è il piano dei
cattivi, senza fare la fatica di inventarci un modo per farlo capire
senza uscire dal punto di vista del protagonista, ma se da un lato
abbiamo spiegato al lettore alcune cose utili, dall'altro abbiamo
rovinato l'atmosfera che ci stava a cuore.
Le strutture
narrative nascono prima di tutto dal fruitore della storia, dai
fruitori di tutte le epoche. Ecco perché - sebbene naturalmente nessuno
sia obbligato a seguirle - è quantomeno nel nostro interesse di
scrittori impararle e interiorizzarle.
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