giovedì 5 dicembre 2013

Educare alla narrazione


Recentemente mi è capitato di fare degli incontri sula narrazione con ragazzini di prima media.

Di solito negli incontri parlo di fumetti o di sceneggiatura, ma in questo caso si parlava di narrazione in generale, e abbiamo anche inventato una storia insieme.

E una volta di più mi sono reso conto di una cosa in sé piuttosto banale ma a cui pochi pensano, cioè di quanto importante sia educare i ragazzi alla narrazione. Non è un lusso, è una necessità per la formazione di una persona.

Perché imparare ad analizzare e a raccontare una storia significa capire il mondo esterno e saper raccontare il proprio mondo interiore.

Significa imparare a spiegare e a spiegarsi.

Perché capire come si struttura una storia, mettendo nel giusto ordine gli eventi importanti ed eliminando tutto ciò che è superfluo, significa aiutare gli altri a capirti, in qualsiasi ambito.

Se devo fare una denuncia in Polizia e devo spiegare come sono avvenuti i fatti. Se devo fare un colloquio di lavoro e spiegare in poche parole qual è la mia storia professionale. Se voglio far capire a una ragazza che mi piace quello che ho dentro senza che questa si suicidi per noia. Se devo spiegare a un idraulico/elettricista/tecnico pc qual è l'inconveniente da aggiustare e come è avvenuto il guasto.

Saper raccontare una storia significa avere una forma mentis condivisa e condivisibile. Per quanto complessi possiamo essere dentro, ci sarà sempre un modo per raccontarci.

Sempre che qualcuno ce l'abbia insegnato.


Immagine: © 1970 Gail E. Hailey


2 commenti:

mr. KEWA ha detto...

Non a caso chi si esprime in modo disordinato pensa in modo disordinato.
Di conseguenza la lingua che un popolo usa per esprimersi influisce nel modo che questo ha di pensare.

Ho detto questo per arrivare ad un punto chiave, che la narrazione fa parte dell'uso del linguaggio, dell'espressione e l'espressione che sia fisica o "artistica" non fa parte di quei linguaggi considerati fondamentali per una persona.
Si trascura la capacità espressiva delle persone, come questa sia un qualcosa riservato a pochi, agli artisti, se racconti sei uno scrittore, se disegni devi disegnare grandi opere, quindi l'espressività rimane un lusso per pochi e i più seguono un tradizionale insegnamento fatto di informazioni "dogmi" da assimilare.Trascurando cosi la qualità dell'individuo, in favore della quantità di nozioni.

Lo scarso valore dato all'educazione fisica come al disegno ne sono un altro esempio.

Si insegna a disegnare ai bambini, da bambini, ma non si insegna ad osservare in maniera corretta e matura agli adulti attraverso il disegno. La mancata educazione all'osservazione ci porta ad avere attorno a noi individui che non hanno mai osservato con attenzione nemmeno il palazzo di fronte la loro casa, non sanno di che colore sono i balconi e forse non sanno nemmeno che colori ha un tramonto, se non il rosso stereotipo.

E' cosi che si cresce una società di persone stereotipate, che nella mente hanno tante informazioni in disordine, un immaginario fatto di stereotipi, incapaci di osservare e di esprimersi.

Mi sono dilungato parecchio perché mi è sempre dispiaciuto che la nostra scuola estremamente legata al produrre e una società legata all'apparire, trascuri l'unico modo che il singolo ha per mostrare quel che ha dentro attraverso una produzione.

Gli individui diventando adulti vengono spinti a tenere per se la loro individualità, cavalcando un atteggiamento innato ma negativo dell'individuo che tende a non mostrare mai se stesso per il rischio di non essere accettato dal mondo che ti circonda, con il rischio che oltre a non produrre non sia predisposto nemmeno ad assimilare l'espressione altrui considerandola, per colpa della mancata formazione, come cosa inutile, svago fatto per "alcuni", alternativa alla partita di calcio da guardare in tv.

Giorgio Salati ha detto...

Commento molto interessante, grazie Mr. Kewa.

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