Man mano che faccio questo lavoro, quello dell'inventore di storie, mi sorgono delle personali idee su come funziona. Come funziona per me, almeno.
Nell'infinita contesa tra istinto e tecnica, sono forse giunto a una mia supposizione su quale sia la via più giusta. La espongo nel mentre che la formulo, domani potrei anche pensarla diversamente, ma più probabilmente no, perché sono cose che in realtà mi frullavano dentro da tempo e solo ora riesco a dar loro una forma.
In passato più di una volta ho sostenuto che secondo me non dovrebbe esistere un contrasto tra istinto e tecnica, talento e mestiere, passione e calcolo, cuore e cervello, fantasia e regole (a questo proposito anche Faraci ha detto la sua, ultimamente). Per me, "in medio stat virtus".
Però c'è di più, forse. Credo di aver capito che ciò che si impara facendo questo lavoro sia un prodotto delle due cose: la sensibilità. La cosa bella è che questa supposizione mi è venuta dopo aver lavorato con diversi sceneggiatori e editor, magari anche con idee diametralmente opposte. Di questo devo ringraziare tanti miei colleghi, da cui imparo un po' ogni volta.
Non esiste nessun manuale al mondo che ti dica come scrivere una storia giusta. Non esiste una storia giusta. Però seguendo alcuni accorgimenti tecnici si può capire quando una storia è sicuramente sbagliata. Non esiste talento al mondo che, se non viene incanalato attraverso una struttura solida, possa produrre qualcosa di veramente interessante, o almeno di interessante per più di dieci pagine.
E' a questo punto che, cercando di esercitare contemporaneamente tecnica e fantasia, un colpo al cerchio e uno alla botte, si sviluppa una sorta di sensibilità. E' difficile da spiegare. E' come se lo sceneggiatore avesse della specie di antenne, che gli suggeriscono alcuni passaggi. Non tutti, purtroppo, se no sarebbe troppo facile. Succede allora che, mentre si sta lavorando a una storia, si dica frasi del tipo: "Non mi suona che Pinco Pallino faccia questa cosa", "A naso direi che a questo punto ci vuole una bella svolta".
Tutte espressioni che hanno a che fare coi cinque sensi, ed effettivamente si rifanno a una sensibilità "interna" allo sceneggiatore, una sorta di "campanello d'allarme" che gli dice "questo non funziona", "bisogna cambiare qualcosa", una specie di "coscienza" che lo aiuta a stare sui binari, e a deragliare quando necessario. Spesso i commenti che facciamo alle nostre stesse storie sono difficili da decifrare: "Questo passaggio non mi convince, anche se non riesco a capire perché. Meglio cambiarlo.".
L'importante è mantenere la concentrazione sulla nostra "vocina" interna, e soprattutto non essere pigri e riscrivere ogni volta che quella sensibilità ci dice che qualcosa non funziona nelle nostre storie. Dopotutto meglio criticarsi da soli e migliorare le proprie opere piuttosto che ricevere pessime critiche dopo aver scritto storie che - non ascoltando quella "sensibilità" - abbiamo lasciato immutate, sicuri del nostro genio letterario.
Forse senza quella sensibilità i "Promessi Sposi" sarebbero molto diversi.
Fortunati quelli che riescono a restare coinvolti dal proprio lavoro e contemporaneamente talmente distaccati da riuscire ad ascoltare pienamente quella sensibilità nel momento stesso della prima stesura. Io francamente non ci riesco quasi mai. La prima stesura di una mia storia spesso è piena di errori strutturali. Però ho anche la pazienza di sopportare le critiche che mi fa quella vocina là dentro (e anche quelle dell'editor, of course), e cercare di migliorare la mia opera.
E altrettanto fortunati coloro che riescono a riscrivere venti volte la stessa storia mantenendo lo stile fresco e immediato della prima stesura.
lunedì 30 novembre 2009
Sensibilità
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