mercoledì 16 dicembre 2009

Recensione: A Serious Man


Ahahah... eh?


Questo è stato il commento più sensato che sono riuscito a proferire dopo aver visto l'ultimo film dei Fratelli Coen.

La storia, ambientata in una comunità ebraica americana negli anni '60, parla di un poveraccio che eredita un'antica maledizione e che riceve una caterva di sfighe e batoste una dietro l'altra. La sua vita va sempre peggio, e quella che sembrava un'esistenza tranquilla e piuttosto scialba, si trasforma in un incubo terrificante. Per certi versi, un vero film horror. I fratelli Coen mettono in scena i nostri peggiori incubi di uomini civilizzati: affetti, famiglia, lavoro, religione, società, vicinato, la città intera sembra rivoltarsi contro il povero Larry.

I due registi sono come al solito geniali nel riuscire a inanellare una serie di gag grottesche. E' incredibile come riescano a inventare le peggiori assurdità rendendole del tutto credibili. Perché può succedere che a un uomo capiti UNA di queste cose, DUE se proprio è sfigato. Ma TUTTE è impossibile. Il problema è che tutto finisce qui.

Innanzitutto a inizio film si fatica un po' a empatizzare col protagonista: la moglie lo lascia di punto in bianco senza che abbiamo avuto tempo di affezionarci alla sua realtà familiare. Ma questa probabilmente è una scelta.

Il fatto è che dopo quaranta minuti di sfighe, uno si aspetterebbe che qualcosa cambi nel film. I fratelli Coen vogliono cambiare la regola hollywoodiana secondo cui dopo una serie di sfighe uno trova quel "twist" per cambiare la propria vita. No, avrebbe fatto troppo film di Natale, e i Coen non sono gente del genere.

Ma dopo quarantacinque, cinquanta minuti di film, si smette del tutto di empatizzare col protagonista. Le sfighe che gli capitano non hanno più importanza, l'escalation di mazzate ormai è arrivata talmente in alto che il tuo cervello dice "ok, c'è un limite a tutto". Così, continui a vedere il sabotaggio di questo disgraziato con un misto di indifferenza e fastidio.

Ti dici: "almeno sul finale ci sarà una svolta spettacolare".

E invece...


Insomma, il film è solo un insieme di gag. Non va da nessuna parte. Non ha arco narrativo.

E permane la sensazione che ho dei fratelli Coen: gente molto talentuosa, spesso geniale nell'inventare situazioni e dialoghi, ma cui mancano i veri attributi per costruire qualcosa di importante, un arco narrativo anche sorprendente e sballato nel loro stile se vogliamo. Sembrano quei ragazzini che si divertono a dare fuoco agli insettini per vedere che cosa succede, e basta. Non si mettono davvero in gioco, non hanno voglia di fare davvero "fatica" per creare qualcosa di memorabile.

Però non ho visto tutti i loro film, quindi magari ce n'è qualcuno di questi che mi smentisce.

Ma la sensazione che lascia "A Serious Man" è questa: molto irridente, monellesco... ma poco coraggioso, in fondo. Non sembra che abbiano tanta voglia di crescere, i fratellini.


Nota positiva: Sy, l'amico di famiglia con cui la moglie di Larry lo tradisce, è uno dei personaggi più azzeccati dei Fratelli Coen. Con quel modo mellifluo di sovrastare il protagonista abbracciandolo, trattandolo come un ragazzino, fingendosi solidale, è forse più violento e aggressivo di Terminator.

5 commenti:

Fausto Herzog ha detto...

Con tutto il rispetto per l'altrui opinione, Joe, credo che i Coen (al di là dei gusti personali) qualcosa di importante lo abbiano già fatto. Anzi, hanno fatto diverse cose importanti. Lebowksi, ovviamente. Fargo. Il recente Burn after reading. Ma anche l'antico Barton Fink.
Quanto alla tua valutazione del loro ultimo film, mi permetto di farti notare che è proprio il fatto che, come tu scrivi, "manchi" qualcosa (il famoso twist of fate) a costituire la poetica dei registi americani. Non si tratta semplicemente di voler cambiare "regole" (abbiamo proprio tutto questo bisogno di altre regole?). Né di ostentare una sterile originalità fatta solo per stupire. La mancanza di senso che spesso accompagna la vita di ciascuno, l'assenza di pietas, il caos e il caso che governano le esistenze di tutti è quello che, ai miei tempi, si sarebbe definito il "messaggio". Il messaggio dei Coen - almeno nei loro ultimi due o tre film - sembra essere questo.
Chiudo questo mio superfluo intervento citando David Lynch, il quale ha recentemente sottolineato la sempre più crescente disaffezione del pubblico verso le narrazioni non-lineari. Tutti si aspettano determinati "archi narrativi", dice il regista, e laddove quegli archi non ci sono, il pubblico se ne lamenta. Film come Blow Up oggi sarebbero impresentabili. Impensabili. Incomprensibili. La "gente" vuole conferme, non sorprese.
Un saluto.

Giorgio Salati ha detto...

Ciao Fausto, l'intervento non è affatto superfluo!

Mi sono interrogato anch'io sul fatto che mi abbia infastidito la struttura non classica del film, mi sono chiesto: sono così conformista?

In realtà, dei Coen l'unico che mi è piaciuto DAVVERO è Big Lebowski. Fargo mi è piaciuto abbastanza ma non da impazzire.

Ecco, per quanto riguarda Fargo, condivido il discorso sulla non-linearità. Di meno invece su "A Serious Man": il problema è che il film è estremamente lineare. Sostanzialmente, succede sempre la stessa cosa per tutto il film. Ecco, forse mi ha infastidito la "troppa linearità" della trama. Tutto inizia quasi senza un motivo specifico, va avanti nella stessa maniera per tutto il film e finisce altrettanto senza motivo.

Non so, se il messaggio è "niente ha senso" allora viene da chiedersi perché facciano dei film.

In "A Serious Man" sento proprio la mancanza di voler andare a parare da qualche parte. Non ho bisogno di un film che sia proprio tutto perfettino con le regoline da film Hollywoodiano di Natale. Ma non ho percepito una vera "idea", un vero "messaggio" sotto questo film, se non "divertiamoci a far succedere di tutto a questo poveraccio". Ed è una sensazione che ho provato in altri loro film, al di là del fatto che rompano o non rompano le regole. Poi vabbe', quello che fanno lo fanno in maniera geniale, ma la sensazione è che si fermi tutto lì.

Da questo punto di vista, preferisco di sicuro David Lynch, di cui certi film sono un enigma dall'inizio alla fine, ma di "senso" ce n'è a bizzeffe.

Fausto Percival ha detto...

Joe, facciamo succedere questo e facciamo succedere quell'altro, più che la poetica dei Coen sembra la filosofia dei Vanzina.
Quando, poi, parlavo della non-linearità narrativa non mi riferivo certo a Fargo, che ha un racconto, anzi, estremamente lineare. Si parte da un punto e si arriverà sicurissimamente a un altro punto. È quello che sta in mezzo che lo qualifica come autentico capolavoro. Mullholland Drive è al contrario un racconto del tutto non-lineare. Per non parlare delle altre recenti pellicole di Lynch.
Ma questa è accademia. Direi così: che forse quello di cui tutti abbiamo bisogno è essere ancora disposti a stupirci, a guardare un'opera d'arte con gli occhi del bambino anziché quelli dell'adulto "consapevole". Per certi versi, direi che la malattia dell'uomo moderno si chiama troppa esperienza.
Ecco, questo sì che è un intervento superfluo.

davide ha detto...

Ciao Joe, ti segnalo un sito carino sul quale puoi contribuire con i libri, film, cd che hai usufruito. Prova a darci un occhio: http://www.scrive.it

Io ci sono già da tempo: http://www.scrive.it/person/davide

Giorgio Salati ha detto...

grazie per la segnalazione, Davide!

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